Le mani incise su lastra sotto un dipinto
Di chi sono quelle mani?
(di Marisa Uberti)
Ho il piacere di poter scrivere questo articolo dicendo subito che ho risolto un mistero, avendo individuato e fotografato la Triplice Cinta (che abbrevierò nel testo con la sigla TC) del Santuario di San Michele Arcangelo, dove mi sono recata in visita nell’agosto 2015. Come mai si trattava di un mistero? Perché la letteratura citava l'esemplare di TC[1] “sulla parete esterna della scalinata della cisterna che porta dalla ex-sala vendita di oggetti sacri alla cosiddetta Galleria Longobarda”[2]. L’esemplare, però, dalla descrizione che ne avevamo, non era risultata rintracciabile dal dr. Giovanni Malcangio, recatosi in loco nel 2008, in quanto la localizzazione indicata era risultata sconosciuta alle guide del Santuario.
L’ingresso del Santuario (notturno). Sopra la lunetta del portale destro è presente la celebre iscrizione “TERRIBILIS EST LOCVS ISTE. HIC DOMUS DEI EST ET PORTA COELI”
La chiesa in grotta
C’è da premettere che il suddetto Santuario, originato dalla più precoce apparizione dell’Arcangelo Michele che il cristianesimo annoveri (490 d.C.) e sul quale si è innestato il culto di San Michele in ogni parte d’Italia e d’Europa, è un incredibile scrigno di testimonianze di devozione popolare: fin dall’esterno, infatti, sull’edificio costruito sopra la grotta dell’Apparizione e immediatamente all’interno, lungo le scalinate che conducono alla chiesa rupestre e anche dentro quest’ultima, si trovano migliaia e migliaia di segni e simboli lasciati dai pellegrini attraverso i secoli, dal XIII in poi (fino a quell’epoca, infatti, l’ingresso alla grotta si trovava, come vedremo tra poco, da un’altra parte). Incisioni, graffiti e alcune vere e proprie forme scultoree (chiamiamoli cumulativamente “segni di presenza”), si susseguono quasi senza soluzione di continuità. Impronte di mani e di piedi, croci, iniziali, sigle, composizioni di frasi, e quant’altro l’umana presenza in questo sacro luogo abbia voluto lasciare, sono visibili a tutti i visitatori che, dal cancello d’accesso, intraprendano il percorso della discesa nella grotta.
Trovare una Triplice Cinta in quel “marasma” è stato fin dall’inizio un’impresa difficilissima, anche perché molti tratti, sovrapponendosi tra loro, possono assomigliare a dei quadrati concentrici ma nessuno, se debitamente osservato, mi aveva convinto. Si osservi, a titolo esemplificativo, la seguente immagine:
Dove si vede la croce più profondamente incisa, terminante in quattro sferette, ad una prima rilevazione sembra proprio di individuare una figura geometrica formata da quadrati concentrici e interconnessa da vaghe linee segmentarie, che potrebbero dare l’illusione ottica di vedervi una TC. Ma ingrandendo l’immagine al computer e usando i contrasti, si può evincere che essa non è contemplabile. Mentre sono innegabili vari tratti “scomposti” e forse anche dei quadrati ma imputabili a sovrapposizioni di graffiti e incisioni che non presentano le caratteristiche peculiari del soggetto della nostra ricerca.
Tornata e ritornata sui miei passi, avevo sconsolatamente concluso che la Triplice Cinta non c’era, perlomeno non lì dove era presente quella miriade di segni. La ricerca mi aveva però fruttato il ritrovamento di un paio tris, in verticale e ad una notevole altezza, lungo la scalinata che conduce alla chiesa rupestre (si vedono meglio durante la risalita), su un pilastro divisorio tra due sepolture (lo scalone, infatti, era detto “dei Morti”, come quello della Sacra di San Michele poiché, lungo il suo percorso, vi erano diverse tombe). Avevo conoscenza di questi due tris dalla letteratura ma non possedevo informazioni sulla loro ubicazione, né avevo mai visto delle fotografie. Anzitutto per la posizione e poi per la composizione, alquanto disordinata, potremmo annoverarli come “centri sacri”, la valenza simbolica del noto tris, essendone di fatto impedita la funzione ludica. Quello posizionato più in alto, inoltre, presenta un prolungamento del segmento verticale, terminante superiormente in una piccola croce (v. fig. sotto):
Le due freccette bianche indicano la posizione dei due esemplari
E’ più che probabile che i “centri sacri” siano stati tracciati dai pellegrini, trovandosi in un contesto in cui pullulano altre incisioni e graffiti ad essi attribuiti e realizzati a più riprese, con insistenza, nel corso del tempo (a partire dal XIII secolo). Si trovano però ad un’altezza considerevole e stando sul piano di calpestio non sarebbe stato possibile eseguirli. L’anonimo esecutore deve quindi essersi aiutato in qualche modo per salire fino a quel livello (potevano esservi sgabelli, ad esempio).
Segni, anche particolari, si trovano su quasi tutti i blocchi di pietra del Santuario. Quelli nella figura sopra sono situati all’esterno, nei pressi della cancellata che recinge il sagrato
Impronte di mani molto marcate e altri segni incisi in diversi distretti, lungo la scalinata che scende alla chiesa rupestre. Nell’immagine di sinistra, sul dorso di una mano si trova una data (1821 o 1823), e delle iniziali, diverse per ciascuna impronta, tutte appartenenti a mani destre. Nell’immagine di destra, è immortalata l’impronta di una mano sinistra, circondata da una miriade di altri “segni di presenza”. Sotto, un’altra impronta di mano destra, con definizione del polso.
“Sandalo o Orma di pellegrino”, in un contesto di altri “segni di presenza” come croci, un nome (Vincenzo), sigle, iniziali, ecc.
I “segni di presenza” non hanno risparmiato nemmeno gli affreschi che decoravano (purtroppo non tutti sono sopravvissuti) il corridoio che porta all’ingresso della Chiesa rupestre. Qui vediamo una “Madonna del Latte” cosparsa di iscrizioni. L’affresco è situato nel cortiletto, nei pressi delle Porte di Bronzo, prima di entrare nella Basilica-Santuario
Soggiornando presso la confortevole “Casa del Pellegrino”, ho avuto la possibilità di scendere più volte direttamente nei corridoi che portano alla grotta e alla chiesa rupestre, sebbene abbia intrapreso il percorso anche secondo la classica via dei pellegrini
[3]. Ho dunque potuto aggirarmi tutt’altro che poco, in questo luogo denso di spiritualità. Soprattutto è stato bellissimo negli orari in cui l’affluenza dei visitatori non era ancora al massimo, la mattina molto presto (le funzioni iniziano alle 7), oppure la sera, prima della chiusura (intorno alle 20). E’ talmente intriso di spiritualità, quel posto, che a volte mi dimenticavo di dover cercare la TC, che pure era una mia atavica curiosità che volevo sanare. Ma veniva sicuramente in seconda istanza, perché nel luogo dell’Arcangelo la dimensione spazio-temporale sembra alterata, è impressionante, si percepisce un senso di sacro e di mistero che è molto simile a quello che ho provato alla Sacra di San Michele in Val di Susa (TO) e, in misura minore, a Mont-Saint-Michel, in Normandia (Francia). Tre luoghi posti sopra la cosiddetta “Linea Sacra di San Michele”, una retta lunga circa 2.000 km.
I tre Santuari, sorti su tre Monti che il divino ha reso sacri. L’origine del culto micaelico ebbe però inizio proprio nella grotta del Gargano alla fine del V secolo d.C.
Il secondo giorno della mia permanenza, tuttavia, ho rammentato un concetto ricorrente nei testi ermetici: se si vuole trovare, bisogna leggere, leggere, leggere e rileggere bene cose che diamo per scontate o sembrano incomprensibili, fino a capirle. Per fortuna la mia ricerca non era paragonabile alla realizzazione della Grande Opera alchemica, ma nel suo piccolo mi impegnava. Era importante trovare la TC in questo Santuario soprattutto perché, dalla sua ubicazione, dimensione, ecc. avrei potuto dedurre se fosse stata tracciata come gioco oppure no. Se tutti gli altri segni erano prevalentemente stati lasciati come testimonianze dei pellegrini, perché non avrebbe dovuto essere stata la stessa cosa per il nostro soggetto? Ho deciso, quindi, di rileggere bene quanto il professor Maulucci aveva scritto in merito alla sua ubicazione, andando a riprendere il lavoro che aveva pubblicato nel 1999 e a pag. 54 riportava: “Per quanto riguarda i graffiti di tale simbolo su reperti archeologici il più bello ed evidente è quello tracciato su un frammento marmoreo conservato nel Santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo e sistemato su una parete nella scalinata della “cisterna” che porta dalla ex sala vendita di soggetti sacri alla cosiddetta Galleria Longobarda”. Ecco che leggendo e rileggendo avevo trovato un dato in più: non era graffita su una parete, la TC, ma su un frammento marmoreo conservato nel Santuario. Restava da capirne l’ubicazione: di quale cisterna parlava, l’archeologo? Non se ne vedeva traccia, almeno non nel normale percorso di visita. Di sale di vendita oggetti sacri ve ne sono almeno un paio, ma nella frase era specificato “ex”, dunque si doveva partire da un locale che non esisteva già più quando egli ne scrisse e che, nel frattempo, poteva aver cambiato destinazione d’uso. Ma un termine era chiaro su tutti: la Galleria Longobarda, ambiente che per fortuna esiste ancora e non è confondibile con altri. Quest’area è di estrema importanza in quanto ha costituito il nucleo primigenio del culto all’Arcangelo Michele[4]. Si tratta di due ambienti realizzati a poca distanza cronologica l’uno dall’altro, tra la fine del VII e l’inizio del secolo VIII, che si estendono per una lunghezza di una sessantina di metri sotto il pavimento della Basilica. La scoperta degli ambienti longobardi si deve a scavi effettuati tra il 1949 e il 1960: erano rimaste nascoste per 700 anni! Dopo aver disceso una moderna scala, si giunge in un mondo sotterraneo. Il primo ambiente è una sorta di galleria porticata a otto campate con volte a botte, dove in origine i pellegrini attendevano di andare a venerare la grotta dell’Apparizione, era cioè di fatto l’entrata alla Grotta e lo rimase fino al XIII secolo, fino all’epoca delle trasformazioni angioine.
Pianta della Galleria Longobarda (Longa Porticus) (A), circa 45 m, e delle due cripte (B e C), della lunghezza di circa 20 m., che conducevano alla Grotta (fino al XIII secolo). In tutti e tre gli ambienti sono emerse dagli scavi testimonianze oggettuali, frammenti di affreschi ma soprattutto graffiti e iscrizioni murali. Perfino lungo i pilastri che fiancheggiano la “Scala Regia” (quella di sinistra) e la “scala tortuosa”. Costituiscono le più antiche memorie devozionali dei pellegrini della Montagna Sacra.
La “sala d’attesa” venne probabilmente realizzata per agevolare il flusso di fedeli che si intensificò sotto i Longobardi, che decretarono il luogo “Sacrario nazionale”; essi vedevano nell'Arcangelo la figura ideale di dio guerriero protettore. Il secondo ambiente, coincidente con il punto dell’Apparizione, era stato attrezzato come un luogo di culto formato da due ampie navate, con due rampe di scale che conducevano ad una piccola platea, delimitata ad est da un’abside, con un altare a blocco in conci squadrati. Forse le due scale portavano alle due rispettive grotte (v. nota 4): una infatti è dritta (la sinistra) mentre l’altra assume un andamento tortuoso. E’ anche ipotizzabile che dalla scala sinistra, oggi quasi del tutto distrutta, si salisse (“Scala regia”) e da quella di destra si ridiscendesse, dopo aver reso omaggio al luogo dove San Michele era apparso, secondo la tradizione.
La Galleria Longobarda: era questo l’accesso alla grotta in età longobarda
I pellegrini giungevano qui attraverso un circuito di pellegrinaggi istituito dai Longobardi, che prevedeva delle tappe per chi arrivava da lontano; sui blocchi all’ingresso della Galleria Longobarda si può notare perfino un’iscrizione runica, segno che i devoti provenivano anche dalle regioni più a nord dell’Europa. Le cripte sono cosparse di “segni di presenza” un po’ ovunque; ci sono anche le firme lasciate dai duchi longobardi. Su parte di queste incisioni vennero stesi mirabili affreschi, oggi purtroppo quasi del tutto scomparsi o staccati per essere portati altrove e al di sotto delle pitture ne sono stati trovati numerosi. In questa fase il Santuario era ben diverso da come ci appare oggi. Dobbiamo infatti immaginare, cosa abbastanza ardua, un ambiente rupestre, un monte (il Gargano) in cui si apriva un’ immensa caverna, irregolare e profonda, sede probabilmente già precedentemente di un culto pagano (secondo alcuni Autori verso Calcante e, ancor prima, a Podalirio). I fedeli, dal basso, vedevano il punto dall’esterno e sapevano che dovevano ascendere lassù, se volevano ottenere la sperata grazia, come tanti ottenevano. La salita dalla valle era chiamata “di Carbonara”; in questa fase storica San Michele era venerato come il guaritore delle malattie e psicopompo, colui che presenta le anime dei defunti al trono divino. Le guarigioni erano però contestuali anche alla presenza della cosiddetta “stilla”: un’acqua miracolosa che, secondo i racconti, stillava dalle rocce della caverna e guariva ogni sorta di mali.
Sotto Carlo I d’Angiò vennero sacrificate le primitive aree del culto micaelico, in favore del nuovo assetto del Santuario, visibile ancora oggi.
Cripta longobarda (VII-VIII secolo). Nella foto a sinistra si vede la navata sinistra e la scala dritta (distrutta); nella foto a destra vediamo l’altra scala, ad andamento curvilineo
L’attuale abitato di Monte Sant’Angelo: incantevole agglomerato di bianche casette che guardano il mare, sorte attorno al luogo dell’apparizione dell’Arcangelo Michele, avvenuta la prima volta in una grotta del Monte Gargano nel 490 d.C.
L’ingresso alle cripte longobarde prospetta nel corridoio di raccordo tra il Museo Devozionale e la nuova Cappella della Penitenza, una sistemazione architettonica recente. Su questo corridoio sono appesi numerosi ex-voto di pellegrini, in forma di dipinti, che parlano visivamente delle grazie e dei miracoli ottenuti per intercessione dell’Arcangelo. Tale forma di venerazione popolare ma anche di personaggi illustri (vescovi, papi, imperatori e con essi Cavalieri Templari, Giovanniti, e di molti altri ordini) ha portato, nel tempo, a donare a San Michele tanti e tali oggetti di valore, da far decidere alla Confraternita che gestisce il Santuario, la fondazione di un Museo Devozionale (aperto nel 2008), situato alla fine del corridoio degli ex-voto. Il Museo vende anche oggetti sacri e non sappiamo se anni fa fosse proprio il locale che veniva citato dal Maulucci. Identificare il punto in cui egli vide la TC non è chiaro, per la diversa strutturazione degli ambienti che negli anni è intercorsa, ma certo è che l’esemplare esiste ancora ma in un altro posto, di cui tra poco dirò (anche se è destinato a prendere un’altra collocazione). Nell’atrio prospetta anche la nuova Cappella Penitenziale o “della Riconciliazione”, realizzata in occasione del Giubileo del 2000. E’ importante sottolineare che una parte dell’edificio ingloba roccia viva del Gargano: si tratta di grotte provenienti da un antico cortile di servizio e che richiamano l’essenza prima del Santuario. Da questa Cappella, uscendo e imboccando il corridoio a destra, si raggiunge la scalinata angioina, a ridosso del tempietto della Madonna con il Bambino. Tutto ciò lo dico per far capire ai lettori che diverse modifiche strutturali sono intervenute, dal 1999 (quando il prof. Maulucci pubblicò gli Atti sulla Triplice Cinta Sacra, v. nota 2) ad oggi, dunque non mi stupisco se il dr. Malcangio, nel 2008, andando appositamente a cercare l’esemplare per la nostra ricerca, non trovò traccia della localizzazione indicata, che era peraltro risultata sconosciuta anche alle guide del Santuario.
Una prima visita alle cripte longobarde l’avevo effettuata il giorno del mio arrivo a Monte Sant’Angelo, ma era stata frettolosa perché avevo deciso di farla senza la guida (che aveva appena terminato il giro con un gruppo di persone), e non aveva dato frutto. Avevo notato moltissime incisioni e graffiti anche in questi ambienti, specialmente all’ingresso (dove si trovano anche due sepolture longobarde), ma nessuna TC. Mi ero trattenuta poco, però, non volendo approfittare della cortesia della guida responsabile, la quale mi aveva concesso di scendere a vedere le cripte.
Segni lapidei e molte croci di varia foggia (alcune, secondo una tradizione, sono state lasciate dai Cavalieri Templari), su blocchi inferiori e a sinistra dell’ingresso della Galleria Longobarda. Questo è stato l’accesso alla grotta dell’Apparizione dall’epoca longobarda fino al XIII secolo, quando Carlo I d’Angiò fece realizzare il nuovo assetto del Santuario
Nella Galleria Longobarda (sezione A della pianta) è allestito (e ancora in via di completamento) il Museo Lapidario, che raccoglie dei pezzi archeologici che sono stati ritrovati durante gli scavi del Santuario nella sua complessità, dall’ex chiesa di San Pietro e dalle rovine dell’abbazia benedettina di Santa Maria di Pulsano. Si possono vedere anche le bravissime restauratrici all’opera. E’ qui che la mia “cerca” doveva concludersi con soddisfazione. Il secondo tentativo di visitare le cripte infatti, maturato dopo aver meditato sulla possibilità che la TC potesse proprio trovarsi nell’area della Galleria Longobarda, si è rivelato vincente, e forse solo per un puro caso. Mi trovano infatti insieme al gruppo di persone che seguivano le spiegazioni del signor Enrico, la preparatissima guida (direi che è più un “angelo custode” appassionato di quei luoghi), quando ci siamo fermati all’altezza di uno scaffale provvisorio, che nessuno ha degnato di uno sguardo perché non pertinente alla spiegazione. Su quello scaffale si trovavano, in quel momento, dei reperti lapidei in attesa di essere collocati o catalogati, in quanto –come ho già detto- sono tuttora in corso lavori di restauro. Io mi sono trovata a sfiorare con il gomito la striscia di plastica bianca e rossa che normalmente delimita una zona da non oltrepassare. Mi sono girata verso destra e l’ho vista, la Triplice Cinta che stavo cercando! Proprio su un frammento marmoreo come aveva scritto il prof. Maulucci. In un certo senso è stata lei a venire da me, perché se non mi fossi sentita sfiorare da qualcosa, forse non mi sarei voltata e avrei perso l’occasione di vederla. Credo si tratti proprio di quella, dato che per mia grande fortuna una targhetta era posata sopra il frammento sul quale venne incisa. La didascalia recita: “Catalogo n.5. Artigiano locale secolo X-XI. Lastra con iscrizione e graffiti. Monte Sant’Angelo Santuario”.
Avevo dunque la certezza, stando almeno a quella fonte, che il pezzo provenisse non da altrove, ma dal Santuario stesso e avrebbe potuto ben essere stato – anni fa - “sistemato su una parete della scalinata della “cisterna” che porta dalla ex sala vendita di soggetti sacri alla cosiddetta Galleria Longobarda”. Resta da capire se il reperto fosse incassato o esposto (comunque era “sistemato su una parete”), quindi già catalogato e messo in vista come reperto archeologico. Con i lavori di sistemazione di cui abbiamo detto, è probabile che il reperto sia stato tolto per un lungo tempo (per questo nessuno lo trovava più), in attesa di trovare la sua definitiva sistemazione all’interno del Museo Lapidario (almeno io penso che la sua destinazione finale sia quella).
Comunque adesso il mistero è stato risolto ed è grazie ad un insieme di “casi” se la Triplice Cinta l’ho trovata proprio io: trovarmi nel posto giusto al momento giusto. “Forse la TC mi aspettava” - mi sono detta -perché la passione che nutro verso questa ricerca non è grande, di più! Ed è stata ripagata, con questo ritrovamento.
Sulla targhetta che accompagna il reperto non si parla di “filetto” né di gioco, come normalmente viene considerato questo schema, venendo citata la generica presenza di “graffiti”. Ma che frammento è, quello in oggetto? Forse una lastra epigrafica tombale? Dove fu ritrovato? E quando? Era in verticale o in orizzontale? Sarebbero tutti elementi importanti da appurare. E’ molto mutilo e probabilmente venne ritrovato già ridotto a queste dimensioni. Vi sono alcune sepolture, nelle cripte. Il frammento è stato datato al X-XI secolo e dunque potrebbe appartenere ad un manufatto che si trovava proprio qui negli ambienti longobardi, che furono in uso fino al 1200, ma i graffiti a che epoca risalgono? Se Carlo d’Angiò fece, di fatto, abbandonare queste cripte a favore di un ingresso totalmente diverso (quello attuale), è probabile che ciò che si trovava all’interno sia stato sigillato sotto terra e le cripte riempite di materiale di scarico. Abbiamo detto che sono state riscoperte a metà del XX secolo, per cui è lecito pensare che il frammento marmoreo si trovasse lì sotto, e che avesse già incisa la TC, che potremmo – in via teorica- datare ad un’epoca non posteriore al XIII secolo.
Galleria Longobarda: le frecce indicano la posizione della lastra epigrafica con la TC incisa, sullo scaffale in cui l’Autrice l’ha individuata. Certamente tale ubicazione era temporanea. Dove verrà sistemato il reperto?
La TC incisa sul frammento marmoreo di cui parlava il prof. Maulucci nel 1999 ma di cui si erano “perse le tracce”…
Insieme alla Triplice Cinta troviamo, come mostra l’immagine, diversi altri segni estranei all’epigrafe originale, eseguiti cioè in un secondo momento e verosimilmente in tempi diversi, da mani differenti. Sono deturpazioni, se vogliamo chiamarle così, riutilizzi. Ma da parte di chi? Furono i pellegrini a lasciarli? La TC, in particolare, è da considerarsi simbolica, in questo contesto o qualcuno non trovò di meglio che tracciare un tavoliere “per passare il tempo”? In quella sacra cripta? La cosa mi rende perplessa. La prima cosa che si pensa quando si trova uno schema da gioco come questo, è di ritenere che a questo sia servito, tuttavia –per l’esperienza che ho accumulato in una quindicina d’anni di ricerca su questo soggetto- non posso escludere la valenza simbolica, tenendo presente il contesto in cui ci troviamo: un luogo di intensissimo e ininterrotto pellegrinaggio. Si potrebbe obiettare perché allora non vi siano molte altre TC da qualche parte nel Santuario (forse ancora devono essere trovate!), ma si farebbe della dietrologia. Mi sembra interessante ricordare quanto il prof. Maulucci (archeologo della Sovrintendenza ai Beni Architettonici di Foggia) ebbe a scrivere sulla Triplice Cinta in area garganica dove, con gli scavi, ebbe modo di documentare numerosi esemplari incisi in edifici religiosi del XIII - XIV secolo. Riteneva i graffiti della TC “strettamente correlati con il transito dei pellegrini di ritorno dalla Terrasanta, che vedevano in quella raffigurazione geometrica un segno di riconoscimento, posto su alloggi o mansio gestiti dai Templari” (tant’è che si diceva convinto vi fosse un vero e proprio “percorso templare” della Triplice Cinta in area Garganica)[5].
Se non si può avere la certezza in merito a questo[6], mi sento di poter fare ulteriori considerazioni:
Per il momento, non è permesso andare oltre. Solo nuovi dati potranno aprire scenari più realistici.
Mi sono sicuramente dilungata per spiegare un ritrovamento che tutto sommato è forse grande solo per me, visto che i restauratori e altre persone hanno sott’occhio il frammento marmoreo tutti i giorni. Spero che possa venire “trattato bene” e possa venire esposto quanto prima. Se era su quello scaffale in attesa di essere ripulito o restaurato, a quest’ora, mentre sto scrivendo (sono passate alcune settimane), potrebbe già essere stato collocato su qualche parete, con la sua targhetta identificativa. A tutti coloro che si recheranno in visita al Santuario di Monte Sant’Angelo dico, quindi, di scendere a visitare anzitutto le splendide cripte longobarde, ammirando i pezzi esposti che sono veramente interessanti, ma di cercare anche quello con la TC, forse meno affascinante di altri reperti decorati, scolpiti, ecc., ma non meno importante, per questa ricerca.
Anche perché, se non lo si trovasse più nel Museo Lapidario, tra qualche tempo, sarebbe un bel guaio, dopo tanta fatica!
(Marisa Uberti, 7 settembre 2015)
1 Per coloro che ancora non sapessero cosa si designa con questo termine, si rimanda al Centro Studi Triplice Cinta (www.centro-studi-triplice-cinta.com), fondato da chi scrive nel 2013 e che contiene tutte le
informazioni utili sull’argomento e consente, tra l’altro, di accedere all’inventario digitalizzato. Sul tema ho pubblicato due saggi “Ludica, Sacra, Magica. Il censimento mondiale della Triplice Cinta” (ilmiolibro.it) e, con Giulio Coluzzi “I luoghi delle triplici cinte in Italia. Alla ricerca di un simbolo sacro o di un gioco senza tempo?” (Eremon Edizioni, 2008)
2 Maulucci, Franco Paolo "La Triplice Cinta sacra", in "Atti del XX Convegno Nazionale sulla Preistoria, protostoria, Storia della Daunia"; Archeoclub d'Italia, San Severo, 27-28 novembre 1999, a cura di Armando Gravina
[3] Dall’albergo un ascensore, fruibile solo dai clienti, scende proprio davanti all’ingresso delle cripte longobarde (per gli utenti esterni è fruibile soltanto da persone che hanno difficoltà nella deambulazione e dai diversamente abili). Normalmente l’accesso al Santuario è dall’ingresso principale, in Via Reale, da cui poi una lunga e suggestiva scalinata scende alla grotta dell’Apparizione, dov’è situata la chiesa rupestre.
[4] Secondo il Liber de apparitione santi Michaelis in Monte Gargano (la più completa descrizione degli episodi relativi alle Apparizioni, risalente all’VIII secolo), la caverna dei primordi sarebbe stata costituita da due cavità: una più piccola e avanzata, chiamata “apodanea”, dall’impronta dell’Angelo lasciata sulla pietra; l’altra più grande, dove si sviluppò il luogo di culto. In epoca bizantina (pre-longobarda) furono realizzate due scale ricavate nella roccia, che conducevano alle due rispettive grotte. I Longobardi monumentalizzarono, conseguentemente, l’impianto. Con il vescovo Leone Garganico, a partire dall’XI secolo il luogo di culto ha occupato la parte superiore terminale dell’ampia caverna.
[5] Maulucci, Franco Paolo “I graffiti di Canosa di Puglia: secolo XII e XIII”, in “Canosa Ricerche Storiche 2007”, Soprintendenza dei Beni Architettonici di Foggia
[6] Personalmente penso che in generale Templari conoscessero molto bene lo schema e lo abbiano usato sicuramente come tavoliere da gioco, al pari di altri Ordini religiosi, perché al loro tempo era diffuso in ogni strato della società, dal meno abbiente alle corti dei sovrani. Una certa “elite” templare, al pari di altri Ordini monastico-cavallereschi, come i Giovanniti, è possibile che abbia impiegato lo schema della TC come supporto simbolico (v. Uberti, M., op. cit., 2012)
[7] Il manufatto potrebbe però essere stato presente nella chiesa-grotta, dove tutt’oggi troviamo pezzi anteriori alle modifiche angioine. Per questo è importante sapere dove sia stato realmente rimesso in luce.
Di chi sono quelle mani?
è stata posizionata sulla parete nella "sala d'aspetto" alla galleria longobarda
Anche a Torremaggiore FG è stata ritrovata la Triplice Cinta incisa su un concio squadrato all'interno del Castello, precisamente sulla torre normanno-sveva, imputabile alla presenza dei Templari.
Io lavoro presso il Comune, sono studioso di storia. La invito a visionare personalmente il reperto.
Ciro Panzone
Congratulazioni!! Buona continuation!TC a Toffia 6 Km call'Abbazia di Farfa . Ti mandero' foto .Gia' segnalatavi dell'amico Guido Santo
Incisa Su gross Petra ovale (macina olio) con Il SATOR inciso Al boredom.Due pesci..Foro central e linee diagonali .A presto un Caro saluto.MC.M.