Triplici Cinte, Tris e Alquerque nel Palazzo Ducale di Urbino
Il Palazzo Ducale di Urbino fu edificato [1] da Federico da Montefeltro (1422-1482), che fu conte di Montefeltro, Urbino e Casteldurante, signore di molti altri luoghi e infine Duca di Urbino dal 1474 fino alla sua morte. Per questo, nella varie sezioni del Palazzo, possiamo talora trovare riferimento a Federico come conte (F C) oppure come duca (FE - DVX). Estintasi la dinastia dei Montefeltro con la morte del figlio di Federico, Guidobaldo (1508), il palazzo passò ai Della Rovere, che assunsero la direzione del Ducato fino al 1631 quando, in seguito alla morte di Francesco Maria II della Rovere, ultimo duca di Urbino, esso passò allo Stato della Chiesa e, da quel momento, il palazzo subì un lento processo di spoliazione e degrado. La valorizzazione del complesso arrivò nel 1912, con l'istituzione del più importante museo marchigiano. Oltre a rappresentare uno dei capolavori architettonici del Rinascimento italiano, il Palazzo Ducale di Urbino ospita infatti la Galleria Nazionale delle Marche, che occupa tutte le sale finora recuperate al primo e secondo piano, per un totale di circa 80 ambienti. La maggior parte dei visitatori punta proprio sulle collezioni esposte: dipinti su tavola e su tela, affreschi, sculture in pietra e in terracotta, sculture lignee policrome e dorate, legni intarsiati, mobili, arazzi, disegni e incisioni, tutte opere situabili cronologicamente tra il Trecento e il Seicento. Basta fare pochi nomi per capire l’importanza del Museo urbinate: Raffaello, Tiziano, Piero della Francesca, Paolo Uccello…
Tuttavia c’è un motivo in più per recarsi a palazzo per chi – come la scrivente - ha a cuore la documentazione, lo studio e la catalogazione dei tavolieri incisi perché balaustre, sedili, stipiti, architravi, colonne e davanzali ne presentano parecchi. E non si può dire che siano tutti interpretabili come giochi a pedine, perlomeno i Tris, che abbiamo trovato (in più di un’occasione) in posizione verticale sui pilastri del Cortile d’Onore, dove evidentemente assurgevano ad altra funzione. Da molti anni si erano notate iscrizioni e graffiti nel palazzo: ne parlò fin dal 1968 Giorgio Batini nel suo libro “L’Italia sui muri” ma dagli anni novanta la storica Raffaella Sarti, dell’Università di Urbino, ha schedato, trascritto e interpretato questo enorme patrimonio (circa 5.000 elementi) che, nel 2015, è stato fotografato con sofisticate tecniche digitali da un laureando dell’ISIA (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Urbino), Manuele Marraccini, con l’intento di schedare e meglio interpretare le scritte.
Il lavoro è stato particolarmente apprezzato dall'allora direttore della Galleria, Peter Aufreiter, che ha fortemente voluto un' apposita mostra nel 2017 intitolata “La pietra racconta. Un palazzo da leggere”, consapevole del patrimonio culturale che graffiti e scritte rivestono. Non si deve infatti pensare a segni di vandalismo del periodo di decadenza del Palazzo, iniziata grosso modo nella seconda metà del XVII secolo e protrattasi fino all'inizio del XX. Fra i tanti, ci saranno anche segni dovuti a questo, non possiamo escluderlo ma le minuziose analisi hanno constatato che coprono circa cinque secoli e mezzo: la più antica iscrizione rinvenuta risale al 1453, fatto che colpisce perché si riteneva che i lavori per la realizzazione del nuovo palazzo fossero iniziati nel 1454. La più recente risale al 2000, quando un certo Mirco lasciò l’ultima firma, eludendo i guardiani che, se l’avessero visto, avrebbero certamente segnalato a chi di dovere l’episodio. Oggi infatti scrivere sui muri è vietato, essendo considerato un gesto deturpante, deplorevole e come tale sanzionato, ma un tempo non era così: non solo era possibile ma anche incentivato farlo. Abitanti del palazzo, uomini e donne, nobili, domestici, guardie (anche guardie svizzere durante il governo pontificio), prigionieri, turisti e anche prelati scrissero sui supporti lapidei del Palazzo: ad esempio è stata trovata la scritta "Eleonora Ducissa Urbini de Rvere", lasciata dalla duchessa Eleonora Gonzaga moglie di Federico Maria della Rovere, nata nel 1493 e morta nel 1550; quella di un vicelegato apostolico, "Alli 8 Agosto 1788 vene in quest'Appartamento Monsignor Cavriani Vicelegato" (cosicchè in base a dove l'iscrizione si trova è anche possibile sapere che funzione avesse quella sala). Un ex-soldato napoleonico prigioniero in una delle sale del palazzo nel 1819, lasciò sulla spalliera di una panca una dedica al suo generale che era stato sconfitto ed esiliato. Ma le scritte ricordano anche persone amate o da dimenticare, eventi occorsi in quel momento (matrimoni, battaglie, sconfitte, vittorie)
Grazie ai graffiti e alle frasi che nel corso dei secoli sono state lasciate nelle varie parti dell’edificio, in effetti, è possibile ricostruire un mondo, la storia, il passaggio di Urbino dal Ducato allo Stato Pontificio. Momenti di quotidianità immortalati per sempre sui muri di Palazzo Ducale. "Graffiti visti e interpretati non più come danni antropici ma come preziose fonti storiche", hanno sostenuto gli organizzatori della citata mostra. Purtroppo non abbiamo potuto vederla ma ci siamo recati nel giugno 2020 al Palazzo Ducale per documentare gli schemi oggetto delle nostre ricerche e, insieme ad essi, tanti altri segni di presenza e iscrizioni. Eravamo già stati in visita nel 1994 alla Galleria Nazionale delle Marche ma ancora non ci occupavamo di questi studi e i tempi non erano maturi probabilmente nemmeno per i dirigenti del Museo, che non avevano posto in evidenza né i graffiti né le scritte.
A dire il vero non è che oggi i depliant facciano riferimento a queste mute ma insistenti presenze; dopo la mostra del 2017 avrebbero dovuto rimanere in loco dei pannelli illustrativi con le spiegazioni dei singoli graffiti o iscrizioni, mentre non abbiamo trovato niente di tutto questo (forse in conseguenza al lockdown?). Chiedendo ai gentili custodi all’ingresso, ci hanno confermato la presenza di ciò che cercavamo e che lo avremmo visto procedendo con la visita del complesso. Pur senza una guida specifica, ci siamo affidati quindi al nostro fiuto e al nostro spirito di osservazione, non sapendo però quali e quanti schemi avremmo trovato; attraverso i trailer della mostra avevamo colto, fuggevolmente, una Triplice Cinta (filetto), incisa probabilmente su un sedile, mentre un nostro collaboratore (Giovanni Barrella) aveva trovato una foto nel suo archivio (risalente a molti anni fa) che ritraeva un altro esemplare e ce lo aveva segnalato nei primi mesi del 2020. Perciò almeno un paio di TC pensavamo di trovarle, se avessimo avuto fortuna. E ne abbiamo avuta, dal momento che il bottino racimolato è stato notevole: 6 Triplici Cinte (filetti), 3 Alquerque, 6 Tris. E’ più che possibile che altri ci siano sfuggiti, senza contare che alcune zone non sono accessibili al pubblico, come alcuni balconi con relative balaustre. Inoltre la sezione archeologica con il lapidario, al momento della nostra visita, non era aperta al pubblico.
- Tris
La visita prende le mosse dall'ingresso collocato su piazza del Duca, a nord del complesso. Varcato il monumentale portale e superato l’androne, ci si ritrova nell’armonico Cortile d’Onore, contornato sui quattro lati da un portico ad archi che riporta un'iscrizione dedicatoria in memoria del duca Federico. . Gli archi divisi dalle colonne sono a tutto sesto e ad ogni angolo ci sono dei pilastri decorati da paraste che hanno la funzione di isolare i singoli lati, variando il ritmo architettonico. Una curiosità: sulla pavimentazione in cotto del cortile è tracciato un grande quadrato ottopartito (schema analogo al tris) costituito da lastre in pietra chiara che evidenziano gli intercolumni, le linee mediane e le diagonali dello spazio. Il Cortile è opera di Luciano Laurana e risale al periodo 1466-1472, considerata la terza fase del palazzo [2]. Premesso che c'è l'imbarazzo della scelta su cosa documentare tra i numerosi segni lasciati sulle pareti e sulle colonne con insistenza, spesso sovrapponendosi tra loro, segnaliamo i primi Tris che abbiamo incontrato.
Il primo è inciso sul pilastro angolare ubicato di fronte alla Biglietteria/Bookshop. Il tratto è sottile, eseguito con strumento a punta fine in un contesto esasperato da graffiti, segni, scritte (anche a carboncino), probabilmente anche delle date (come quella un poco più sopra lasciata da una certa Giovanna P.). Lo schema, situato in verticale, misura 5,4 x 6 cm circa e non può avere assolto alla funzione ludica, dato che si trova sulla semicolonna (inglobata nel massiccio pilastro). il Tris è intersecato, nella parte inferiore destra, da un motivo costituito apparentemente da cinque semicerchi eseguiti a compasso. Non è da escludere la presenza di altri possibili schemi analoghi sulla stessa superficie, ma data la loro scarsa visibilità preferiamo in questi casi astenerci dal dichiararne certa l'esistenza.
Fig. 9. Il Tris inciso verticalmente sulla semicolonna del pilastro angolare situato proprio di fronte alla Biglietteria (nel Cortile d'Onore)
Altri due Tris si trovano sul pilastro opposto al precedente, sulla stessa diagonale (è il pilastro più vicino allo scalone di accesso al piano nobile). Non si trovano sulla semicolonna bensì sul pilastro, dal lato che guarda la galleria interna (non verso il cortile). Sono due esemplari tecnicamente molto diversi tra loro: uno è molto marcato e misura 10,7 x 10,7 cm, l'altro è molto più sottile e misura 7,9 x 7,9 cm. Si trovano a pochi centimetri l'uno dall'altro, in posizione verticale e ad un'altezza da terra di circa 1 metro e mezzo. Una miriade di ulteriori segni incisi, taluni senza apparente senso logico, talaltri con abbozzi geometrici, pervadono tutta la superficie sia del blocco in cui sono presenti i Tris che in quello immediatamente inferiore e superiore (dov'è visibile un disegno a carboncino). Nel blocco più basso graffiti e incisioni sono quasi assenti (era più scomodo).
Il primo Tris fu eseguito incidendo profondamente la pietra, in special modo il perimetro e la croce che vi è inscritta e che forse è stata "ripassata" più volte perchè le diagonali appaiono, nel punto di incrocio con le mediane, quasi cancellate. All'interno dello schema si osservano ulteriori graffiti e questo può fare ipotizzare che sia stato realizzato al di sopra degli stessi, inglobandoli. Inferiormente e adiacente, si apprezza una griglia di 6 x 6 caselle irregolari (non hanno tutte la stessa dimensione) a cui sono state sovraincise due diagonali (X): la figura risultante non può qualificarsi come un Alquerque ma la segnaliamo ugualmente, sebbene appaia stilisticamente diversa dal menzionato tris (una mano diversa).
A pochi centimetri dallo schema appena descritto se ne trova un secondo, meno visibile del precedente ma perfettamente riconoscibile. E' evidente un'approssimazione nella sua esecuzione, con diagonali non centrate nel punto di intersezione delle mediane. Anche questo schema, come già ricordato, è invaso da segni sulla pietra, probabilmente già presenti quando venne realizzato. Sul motivo che spinse gli anonimi incisori o graffitari a lasciare questi Tris in verticale è materia di studio per noi, che da anni ci interroghiamo in tal senso. Se in orizzontale possiamo infatti ritenerli giochi a pedine, così come quando si trovano verticalmente ma su blocchi di reimpiego (perchè quel blocco potrebbe essersi trovato in orizzontale, ad esempio, prima della sua ricollocazione), quando li documentiamo su roccia o parete verticale (inamovibile), oppure su pilastro come nei casi in oggetto, non era certo il gioco la loro funzione, sebbene alcuni ritengano che si potesse giocare anche in detta posizione, usando carboncino o gesso.
Ma perchè, ci chiediamo? Perchè andare a complicarsi le cose quando di spazio, in orizzontale, ve n'era tantissimo? E' più ragionevole pensare che, in questo caso come altrove, i Tris non avessero valenza ludica ma siano stati incisi come simboli rappresentativi. Non dimentichiamo che nel Cortile d'Onore vi è un grande quadrato ottopartito e potrebbe anche essere stato riprodotto figurativamente in scala. In alternativa, cosa potevano indicare questi Tris? Su questo la ricerca è sempre in divenire: segni di pellegrini (il Tris, con il suo centro da cui diramano otto direzioni, era usato spesso con riferimento sia religioso che astronomico); qualcuno direbbe "segni per indicare punti di particolare rilevanza energetica" (come linee di forza o corsi d'acqua sotterranei) che li ha fatti anche appellare "centri sacri".
Inquadriamoli però nel contesto in cui si trovano, insieme ad una moltitudine di altre incisioni per le quali dovremmo ritenere che abbiano tutte un significato nascosto? No, perchè lasciare i segni della propria presenza in un posto è un atto "antropologico" assai studiato dagli esperti, tuttavia riteniamo che la figura geometrica del Tris, per le sue caratteristiche, debba godere di un'attenzione particolare. In merito all'ipotesi che si possa trattare di una testimonianza del passaggio di pellegrini (considerata anche la presenza diffusa di croci graffite e incise nel Cortile d'Onore), ricordiamo che due Tris li abbiamo trovati in verticale su una parete della scalinata che scende alla Grotta dell'Angelo del Santuario micaelico sul Gargano (vedi scheda), tra un'infinità di altre testimonianze di passaggio dei fedeli. Ci si può chiedere che cosa portasse al Palazzo Ducale di Urbino i pellegrini, esistendo molti luoghi di culto nella città e, vicinissima, la Cattedrale.
A questo interrogativo si può rispondere, dato che le fonti storiche ci informano della presenza di importanti reliquie di santi nella Cappella del Perdono, situata al piano terra (grosso modo tra i due Torricini), compresa attualmente nell'itinerario di visita. Costruita contemporaneamente alla Biblioteca di Federico, sempre al pianterreno, la si deve all'arch. Laurana [3]. E' un piccolo gioello, assai particolare, ricco di stucchi e marmi policromi; è un ambiente gemello all'adiacente Tempietto delle Muse ed entrambi si trovano sotto il famoso Studiolo di Federico, situato al primo piano. Un tempo la Cappellina era dotata di una finestrella sopra l'altare (oggi murata), confinante con l'appartamento dell'alter-ego del duca Federico, Ottaviano Ubaldini (1423 (?)-1498), che poteva affacciarsi all'interno della Cappella per seguirne i riti senza accedere direttamente al sacello. Il "rito del perdono" era ritenuto di grande valore in città. Papa Sisto IV concesse (prima del 1480) l'indulgenza plenaria a coloro che visitassero la Cappella il lunedì di Pasqua (confermata nel 1709); in quella ricorrenza, ogni anno, partiva una processione dalla Cattedrale, in testa alla quale stava il clero, accompagnato da una grande moltitudine di popolo. La processione arrivava quindi al vestibolo della cappella dalla porta settentrionale, creando non poco disagio (assembramento) perchè il passaggio è stretto. Sul portalino del vestibolo è scritto “Chiunque prega con cuore mondo su questa sacra soglia, aspira al fulgido regno della città eterna”. I fedeli facevano atto di penitenza davanti all'ingresso della Cappella, in cui era osteso il reliquiario; probabilmente il rituale durava più giorni, per consentire a tutti di accedervi. Urbino, nel 1598, aveva più di 18.000 abitanti! [4]. E' verosimile che arrivassero a Palazzo anche fedeli forestieri, a nostro avviso.
Fig. 16. La Cappella del Perdono . Sopra l'architrave vi è la seguente epigrafe: Octavius Vbald. quadragenariam Vrbis ecclesiarum veniam perpet. irrevocab. rite semper hoc sacellum adeuntibus a Sixt. IIII. Pont. Max. impetrauit
Al piano nobile abbiamo individuato un paio di Tris in orizzontale, nella Sala del Trono (antico Salone delle feste), su una panca di pietra posta a destra sotto il davanzale della seconda finestra. Lo schema più grande misura 21,4 x 16 cm mentre del più piccolo non abbiamo rilevato le misure perchè sul posto non ci è sembrato propriamente un Tris. Effettivamente, ingrandendo la foto al computer e analizzando i contorni, si osserva che il segmento mediano orizzontale (posto in obliquo) non appartiene allo schema ma ad un'altra figura (incompleta). E' quindi un segmento estraneo al Tris ma contenuto nel suo stesso spazio incisorio (probabilmente antecedente al Tris medesimo), così come troviamo vari segni e lettere (una V. una H, una T sdraiata, una piccola croce, ecc.). Volendo essere precisi, anche il Tris più grande è "subdolo"; la diagonale destra, ad esempio, non origina dall'angolo ma -se guardiamo bene - fuoriesce dallo schema intersecandosi con un segmento parallelo e più lungo del lato superiore del Tris; il segmento mediano orizzontale, inoltre, non si raccorda con il lato destro dello schema. Il sedile è cosparso di graffiti e incisioni; una vistosa scritta compare superiormente allo schema più piccolo, in cui si legge "ANO 1775".
- Alquerque
Ritorniamo ora al Cortile d'Onore, al piano terra e accediamo - attraverso il "settore mostre" (il quale, in mancanza di queste ultime, si presenta spoglio) al Giardino Pensile, realizzato intorno al 1470. E' un cortile trapezoidale che fin dall'inizio fu allestito a giardino, con ampie aperture rivolte verso un bellissimo panorama (dove svetta la fortezza Albornoz); al di sotto erano situati i locali di servizio (cucine, lavanderie, magazzini, ecc.). L'area ha subìto varie alterazioni e soltanto in anni recenti si è provveduto a piantumare le aiuole (in base alle essenze che erano coltivate in altri giardini rinascimentali, non avendo documentazione su quelle che crescevano qui). Al centro si trova un'interessante e rara Meridiana a rifrazione (originariamente), dalla forma di una fontana, con la quale può essere confusa. Ma avvicinatevi e scoprirete che è uno strumento astronomico (anche se alterato durante il suo restauro).
Sul davanzale della seconda finestra a destra entrando nel Giardino, abbiamo documentato un Alquerque che misura 21,4 x 21,4 cm. La porzione rivolta verso il visitatore non si vede più per forte abrasione (soggetto ad intemperie), perciò restano visibili due Tris appaiati (che configurano l'alquerque originario). L'esemplare si presenta con i tratti "puliti" (almeno quelli ancora distinguibili), cioè fu eseguito con cura, usando strumenti geometrici che hanno consentito il rispetto delle proporzioni: il perimetro e i segmenti non sono approssimativi e non furono eseguiti a mano libera. La posizione orizzontale e le dimensioni depongono per uso ludico, tuttavia come è nostra abitudine non ci possiamo spingere in interpretazioni certe.
Fig. 20. L'Alquerque inciso sul davanzale di una delle finestre dell'edificio affacciato sul Giardino Pensile
Per trovare altri Alquerque (sempre per quanto ci riguarda e limitatamente alla nostra visita) bisogna salire al piano nobile, nella Sala del Trono. Sul sedile di pietra posto sotto la seconda finestra, a sinistra, tra le molte incisioni vi è anche quella di un Alquerque, tracciato probabilmente a mano libera. La parte inferiore non è quasi più distinguibile e sulla stessa superficie insistono segni, lacune della pietra (abrasioni e rotture), iniziali, segmenti, ecc. A destra dell'Alquerque si trova un bellissimo ed elaborato disegno a incisione, raffigurante uno stemma con cappello cardinalizio sovrastante, motivi fitomorfi ai lati e a girale nella parte terminale, in cui si legge anche una scritta in carattere maiuscolo: LA GLORIA DELLA PATRIA VAC [...] (non leggibile il resto). Il disegno fu verosimilmente sovraimposto ad altri graffiti più labili, come una griglia e forse una Triplice Cinta (ne parleremo più avanti). A destra della grande incisione dello stemma araldico e accanto ad uno scudetto più piccolo, si può osservare uno schema pseudo-geometrico, in cui si ravvisano dei segmenti che potrebbero configurare un Tris o, meglio un Alquerque, tuttavia rimane in dubbio una definizione certa.
Fig. 22. Sala del Trono
- Triplici Cinte
Al secondo e ultimo piano, chiamato "roveresco" non abbiamo trovato esemplari attinenti al nostro studio. Dovremo tornare a Palazzo per ispezionare i Sotterranei (visti nel 1994 ma senza avere la consapevolezza di oggi) e, se verrà riaperta, la sezione archeologica con il Lapidario. Come sappiamo, ogni volta che si torna in un luogo c'è da aspettarsi una sorpresa.
(Testo e foto di Marisa Uberti. Non è possibile copiare/incollare senza previa autorizzazione e/o citazione delle fonti).
Link utili:
- Il sito ufficiale del Palazzo Ducale di Urbino
- Il sito ufficiale della Galleria Nazionale delle Marche
- La Pietra racconta . Un palazzo da leggere (trailer della mostra del 2017)
[1] Un palazzo esisteva già nel Medioevo ed era occupato dai duchi urbinati. Nel palazzo sono state riconosciute tre fasi costruttive: una prima pre-rinascimentale, una seconda a partire dal 1445, in cui venne costruito un edificio di raccordo noto come Palazzetto della Jole, tra il preesistente palazzo residenza dei duchi nel medioevo e il Castellare lungo il dirupo della collina meridionale. La terza fase coincide con l'arrivo dell'arch. Laurana (1420-1479)
[2] A lui si devono la celebre facciata dei Torricini, il Cortile d’onore, lo Scalone monumentale e la Biblioteca al piano terreno. Al primo piano, su suo disegno, furono realizzati il Salone del Trono, il Salone degli Angeli e la Sala delle Udienze. Nel 1474 la direzione dei lavori passò al celebre architetto senese Francesco di Giorgio Martini (1439-1501), che portò a termine intere zone del palazzo, ne creò di nuove e rifinì la decorazione interna di numerose stanze (porte, finestre, camini, capitelli). Progettò, in particolare, le logge sul Cortile del Pasquino, il Giardino pensile, gli ambienti e l'ingegnoso impianto idraulico dei sotterranei, per il quale il palazzo divenne molto famoso nella sua epoca. Fornì anche disegni per le tarsie lignee delle porte e per la maggior parte delle famose formelle con il Fregio dell’arte della guerra, in origine murate sulla facciata settentrionale esterna (piazza del Duca). Estintasi la dinastia dei Montefeltro, il palazzo passò ai Della Rovere ma sotto di loro furono poche le novità aggiunte ecccetto la ristrutturazione del secondo e ultimo piano del Palazzo; quest'ultimo accoglie l'appartamento "roveresco", opera degli architetti Bartolomeo Genga (1518-1558) e Filippo Terzi (1520-1597), autori anche della sopraelevazione delle “terrazze” sul lato meridionale dell’edificio con l’abolizione delle merlature quattrocentesche. Per la storia dell'architettura del Palazzo vedasi https://www.gallerianazionalemarche.it/palazzo-ducale/storia-dellarchitettura/
[3] Per appprofondire l'architettura vedasi G. De Zoppi, "La cappella del Perdono e il tempietto delle Muse nel Palazzo Ducale di Urbino. Analisi e proposta d’attribuzione a Francesco di Giorgio Martini", Annali di architettura, n. 16 (2004), digitalizzato al seguente URL: https://www.cisapalladio.org/annali/pdf/a16_01_dezoppi.pdf
[4] Sembra che la Cappella sia stata progettata per ricevere opportunamente i raggi solari al tramonto, che andavano ad illuminare progressivamente alcuni punti all'interno del sacello, anche se non conosciamo dove venissero tenuti i reliquiari e quali riti privati vi si svolgessero. Per approfondire vedasi Balestrieri, Riccardo "L'illuminazione solare della Cappella del Perdono nel Palazzo Ducale di Urbino", in Atti del XII Congresso della Società Italiana di Archeoastronomia (Albano Laziale, 5-6 Ottobre 2012)